L'arte come specchio dell'anima
L'introspezione nella scrittura di Yukio Mishima
Il giovane monaco buddista Mizoguchi diventa sempre più ossessionato dalla bellezza del Padiglione d'Oro, che si trova nel quartiere del tempio in cui vive. Alla fine, dà fuoco all’edificio.
Il romanzo si basa su un episodio realmente accaduto: il 2 luglio 1950, il Padiglione d'Oro del Tempio del Giardino dei Cervi di Kyoto fu distrutto dall'incendio doloso di un monaco. Per le sue ricerche sul romanzo, Mishima aveva visitato il colpevole in prigione e aveva parlato con lui. Il titolo originale Kinkaku-ji ("Padiglione d'oro") e la traduzione inglese (The Temple of the Golden Pavilion) come quella italiana, a differenza del titolo del film che ne fu tratto nel 1958, (炎上)Enjo (Incendio), si concentrano sull'oggetto in sé e non sulla sua distruzione.
- L'arte come specchio dell'anima
- La trama capitolo per capitolo
- Capitolo 1: La vita nel tempio
- Capitolo 2: L'incontro con Tsurukawa
- Capitolo 3: Il rapporto ambiguo e conflittuale con il Padiglione
- Capitolo 4: Kashiwagi lo zoppo
- Capitolo 5: I turbamenti di Mizoguchi
- Capitolo 6 - L’ossessione per il Padiglione
- Capitolo 7 - L’idea malsana del rogo
- Capitolo 8 - Un aspirante criminale
- Capitolo 9 - Il destino di Mizoguchi
- Capitolo 10: Epilogo
- Conclusione:
- I personaggi de "Il Padiglione d'Oro" di Yukio Mishima
- L’interpretazione del romanzo
- Il contesto sociale, politico e culturale del Giappone di Yukio Mishima: una società in trasformazione
- Yukio Mishima: una vita dedicata all'arte e alla scrittura
- Le opere
- Adattamenti cinematografici
La storia
Capitoli da 1 a 3
Il giovane Mizoguchi è destinato dal padre a entrare nel Tempio del Giardino dei Cervi a Kyoto quando è ancora un bambino. Il padre gli parla continuamente della bellezza della sala d'oro. È malato e muore presto. Mizoguchi soffre per la sua balbuzie e la sua bruttezza. Si innamora di Uiko, una ragazza del quartiere, ma lei non vuole saperne di lui. Quando entra nel tempio, incontra un altro novizio, Tsurukawa, che inizialmente diventa il suo unico amico.
Capitoli 4-6
Oltre a prestare servizio al tempio, Mizoguchi viene ammesso a studiare all'Università di Otani. Lì incontra Kashiwagi.Kashiwagi viene descritto come un uomo dai piedi torti. A differenza di Mizoguchi, che tende a soffrire di balbuzie, egli usa in modo calcolatore la sua menomazione fisica a suo vantaggio, ad esempio per attirare la pietà delle donne e manipolarle.
Mizoguchi osserva il priore del suo monastero che visita le geishe nel quartiere dei divertimenti. Gioca con l'idea di ricattarlo e fa entrare di nascosto una foto della geisha in questione nei documenti del priore. Si allontana sempre più dal superiore.
Capitoli 7-10
La fissazione per la bellezza del Padiglione d'Oro occupa sempre più spazio nella mente di Mizoguchi. Durante una fuga dal monastero, prende la decisione di bruciarla. Dopo alcuni preparativi e riflessioni, di notte appicca il fuoco e la sala brucia.
La bellezza come ossessione: la ricerca della perfezione estetica
Mishima utilizza il Padiglione d'Oro come metafora della bellezza e della perfezione estetica, che diventano le ossessioni dei personaggi principali. L'autore esplora il concetto di bellezza come un ideale inaccessibile, che può portare alla follia e alla distruzione. Il protagonista, Mizoguchi, è affascinato dalla bellezza del Padiglione d'Oro e sviluppa una vera e propria ossessione per esso, cercando di possederlo in modo simbolico.
La lotta tra tradizione e modernità
Il romanzo affronta anche il tema del conflitto tra tradizione e modernità, così presente nella società giapponese del periodo in cui è ambientato. Il Padiglione d'Oro rappresenta la tradizione e la spiritualità, mentre la modernità è rappresentata dalla nuova scuola in cui Mizoguchi studia. Questo contrasto mette in luce la lotta interiore del protagonista, diviso tra la sua passione per la bellezza tradizionale e il desiderio di abbracciare la modernità.
La solitudine e l'alienazione
Mishima esplora anche il tema della solitudine e dell'alienazione, evidenziando come la ricerca ossessiva della bellezza possa isolare il protagonista dal resto del mondo. Mizoguchi si sente estraneo alla società e alla sua stessa famiglia, trovando conforto solo nella contemplazione del Padiglione d'Oro. L'autore mette in luce la fragilità dell'animo umano e la difficoltà di trovare un senso di appartenenza in un mondo sempre più individualista.
La ricerca della redenzione attraverso la distruzione
Infine, il romanzo affronta il tema della morte come liberazione
e redenzione. Mishima descrive la distruzione del Padiglione d'Oro come un atto di estrema bellezza e di rinnovamento spirituale per il protagonista. Mizoguchi crede che solo attraverso la distruzione possa trovare la sua redenzione e liberarsi dalle proprie ossessioni. L'autore utilizza la morte come un simbolo di trasformazione e di ricerca
di una bellezza eterna.
"Il Padiglione d'Oro" di Yukio Mishima è un romanzo che esplora le tematiche dell'arte, della
bellezza, della tradizione e della solitudine. L'autore intende far riflettere il lettore sulla condizione umana, sulle ossessioni che possono portare alla distruzione e sulla ricerca di una bellezza estrema. Attraverso la storia di Mizoguchi e del Padiglione d'Oro, Mishima ci invita a esplorare l'oscurità interiore dell'anima e a cercare la nostra personale redenzione.
La trama capitolo per capitolo
Il padiglione d’oro è un romanzo scritto da Yukio Mishima, uno dei più importanti autori giapponesi del XX secolo. Pubblicato nel 1956, il romanzo narra la storia di Mizoguchi, un giovane monaco buddista che vive nel tempio di Kinkaku-ji, noto anche come il Padiglione d'Oro. La trama si sviluppa attraverso una serie di eventi che coinvolgono Mizoguchi e il suo rapporto con il tempio, la bellezza e la spiritualità.
Capitolo 1: La vita nel tempio
Il narratore, Mizoguchi, figlio di un monaco zen responsabile di un tempio sulla costa del Mar del Giappone, vicino a Maizuru, ma che vive con lo zio per poter frequentare l'università, è un giovane tormentato, complessato dalla balbuzie che lo separa dal mondo esterno. Di conseguenza, subisce "innumerevoli umiliazioni", ma, nutrendo una forte volontà di potenza, si vede come un "tiranno taciturno" o un "artista di genio". Nel 1941, la sua scuola fu visitata da un giovane soldato che lo notò e lo derise. Colpito nel profondo, gli disse senza mezzi termini: "Mi farò sacerdote". Era affascinato dai suoi vestiti e, soprattutto, dal suo pugnale, che danneggiò incidendovi dei segni.
Era anche turbato da "una bella ragazza di nome Uiko", con cui aveva una sorta di relazione e che una notte attese sulla strada. Ma quando arrivò il momento di averla, lui rimase pietrificato, mentre lei non era affatto spaventata. Così egli volle vedere distrutta la testimone della sua vergogna, insieme a tutti gli altri e persino "al mondo intero".
Nel villaggio si nascondeva un disertore e i gendarmi vennero ad arrestare Uiko mentre gli portava delle provviste. Mizoguchi ammirava il rifiuto del mondo che appariva sul suo volto. E quando lei decise improvvisamente di tradirlo, fu sopraffatto da una "gioia infantile" e fu colpito dalla "limpida bellezza del suo tradimento".
I gendarmi usarono degli stratagemmi per avvicinarsi al nascondiglio. Ma lei li ingannò di nuovo avvertendo il disertore che, tuttavia, uccise lei e se stesso. Mizoguchi rimase indifferente a ciò che seguì a questa tragedia.
Nella primavera dell'anno successivo, il padre disse di volerlo "introdurre al priore del Padiglione d'Oro", il famoso tempio di Kyoto che aveva sempre lodato, di cui Mizoguchi conosceva già la storia, la "delicata architettura" e il valore simbolico dai libri, vedendo in lui un rappresentante di quella "Bellezza" che gli dava "un senso di disagio e di irritazione". Il padre lo portò lì, in un viaggio tetro durante il quale Mizoguchi ebbe "l'impressione di essere 'nel mezzo'", trovandosi tra il padre, "ministro della morte", e i giovani soldati che appartenevano al "mondo della vita".
Si era detto che avrebbe "visto la cosa più bella del mondo" davanti al Padiglione d'Oro, ma rimase deluso, preferendo il suo riflesso nello stagno che lo circonda, e poi il suo modello, esposto non lontano, a cui la sua piccolezza conferiva una sorta di perfezione.
Rimase deluso anche dalla "statuetta di legno di Ashikaga Yoshimitsu" all'interno.
Suo padre e il priore Tayama Dôsen erano amici, ma erano molto diversi nella "carnagione", uno molto magro, l'altro grassoccio. Ma entrambi si lamentavano del fatto che all'esercito e al governo "interessavano solo i templi shintoisti". Suo padre lasciò il futuro di Mizoguchi"nelle mani del priore". Mizoguchi non apprezzò la bellezza del Padiglione d'Oro finché non tornò a casa, dove il padre poi morì.
Capitolo 2: L'incontro con Tsurukawa
La morte del padre "segnò davvero la fine della sua adolescenza", anche se lui rimase indifferente perché aveva "una sorta di impotenza emotiva". Il funerale di questo sacerdote di campagna, al quale assistettero la madre e i fedeli, fu per lui l'occasione di riflettere sulla morte degli altri, che gli permise di "assicurarsi dell'autenticità della propria esistenza".
Ed era ben consapevole dell'ambiente naturale, soprattutto perché la pioggia compromise la cremazione e soffocò la benzina usata fece saltare il coperchio della bara!
Nel 1944, "secondo le ultime volontà del padre", entrò "nel tempio del Padiglione d'Oro come novizio", si fece rasare la testa e fu "ordinato monaco dal priore", che gli pagò le tasse scolastiche, mentre lui era il suo servitore.
Si rivolse quindi al Padiglione d'Oro, chiedendogli di "dargli un segno di amicizia", di "rivelargli il suo segreto", di "fargli scoprire tutta la sua bellezza", che pensava fosse alimentata dalle "cattive notizie della guerra". Esso lo "travolse di meraviglia", a causa, credeva, della propria bruttezza.
Incontrò un altro novizio, di nome Tsurukawa, il cui "modo di parlare rapido e allegro" lo intimidì. Quando gli chiese dell'effetto che aveva avuto su di lui la morte del padre, fu sorpreso dalla sua mancanza di tristezza, Mizoguchi riuscì a vedere il suo "stato fondamentale": il divario tra fatti e sentimenti.
Si dunque sottomette alla routine della vita al tempio, anche quando gli viene "assegnato il compito di portare il giornale all'ufficio del priore". Non appena venne a conoscenza della minaccia di "incursioni aeree", la possibilità della distruzione del Padiglione d'Oro divenne per lui una certezza.
Tsurukawa era l'unico confidente della sua "strana passione per il Padiglione d'Oro". Mentre gli altri erano infastiditi dalla sua balbuzie, lui, che aveva una "ineffabile gentilezza", non ci scherzava mai sopra.
Ma il paradossale Mizoguchi dichiara di preferire "lo scherno e l'insulto"! Ciononostante, fece "questa scoperta": "Quando dominai la mia balbuzie, non potei più rimanere me stesso".
Mentre contemplava il Padiglione d'Oro riflesso nello stagno, un suo compagno di classe gettò un sasso nello stagno, facendo scomparire "l'insieme bello e delicato".
Quell'anno, mentre l'"intimità" di Mizoguchi con il Padiglione d'Oro si faceva "più stretta", egli si sentiva esposto agli stessi pericoli del Padiglione. Ma "i primi bombardamenti del B-29 su Tokyo nel novembre 1944" gli fecero sperare che Kyoto e il Padiglione d'Oro sarebbero stati distrutti, e ogni giorno si convinceva che sarebbe successo il giorno dopo.
La notizia che "l'intero centro commerciale di Tokyo era in fiamme" gli fece sognare "una distruzione universale". Tuttavia, insieme a Tsurukawa visitò il tempio Nanzenji, dove sperimentò una "voluttà struggente" che fece sembrare la guerra irreale. Lì vide una "giovane donna con un kimono a maniche lunghe", accompagnata da "un giovane ufficiale in uniforme", che, offrendogli il tè, si scoprì "due seni di neve" per aggiungere, pensò, del latte: era "la cerimonia di addio di un ufficiale che stava per partire per il fronte e della donna che gli aveva dato un figlio". Ma Mizochuchi divenne ossessionato dall'"idea che quella donna fosse la risorta Uiko e nessun'altra".
Capitolo 3: Il rapporto ambiguo e conflittuale con il Padiglione
Mizoguchi si innamora di Sonoko, la sorella di Kashiwagi. Sonoko è una giovane donna bellissima e Mizoguchi è affascinato dalla sua bellezza. Tuttavia, Sonoko è già impegnata con un altro uomo e non corrisponde ai sentimenti di Mizoguchi. Questo causa un grande dolore a Mizoguchi, che si sente inadeguato e frustrato.
Mizoguchi"non ha quasi voglia di parlare" di sua madre, perché "c'era una questione per la quale [lui] non le aveva mai rivolto una parola di rimprovero", ma che non le aveva perdonato.
Un suo parente, Kurai, era venuto a vivere con loro e, di notte, i quattro si ritrovarono sotto la stessa zanzariera, che egli notò essere scossa da una "specie di rotolo", prima di scoprire una "visione dell'inferno", la copula di Kurai e di sua madre, che il padre, che egli odiava per questo motivo (e non la madre), voleva "impedirgli di vedere".
Per questo, al funerale, insisteva nel "contemplare le fattezze del cadavere". Inoltre, era "afflitto per aver avuto una madre così povera e trasandata". Lei voleva esentarlo dal lavoro obbligatorio in fabbrica, ma lui non apprezzava la sua tenerezza. Riconosce "cosa ci sia di sbagliato nel [suo] carattere": cioé mostrare sentimenti che in realtà non sono i suoi, perché per lui solo l'avversione è autentica.
Ritiene inoltre che Tsurukawa, pur avendo "le migliori intenzioni", abbia frainteso i suoi pensieri e che questo lo abbia costretto a essere ipocrita con lui. Per esempio, non gli avrebbe detto della sua indifferenza quando, in visita a Osaka, aveva assistito a un'incursione e visto un operaio "con le viscere per aria".
Così non ebbe altro che parole dure da dire a sua madre, che "lo riempì di malessere" perché era disgustato dall'odore carnale che emanava da lei.
Lei gli disse che il tempio di suo padre era stato ceduto e che Mizoguchi doveva quindi "diventare priore del Padiglione d'Oro", cosa che per lui era solo una "idea machiavellica", una "suggestione abietta". Pensava che sarebbe stato "arruolato" e sarebbe morto in guerra, o che un "raid aereo" avrebbe bruciato il Padiglione d'Oro.
Quel giorno, però, adottò il "senso della realtà" della madre, il suo "realismo spietato", che si opponeva al suo sogno di distruggere il Padiglione d'Oro, così pensò di sostituirsi al priore. Tuttavia, "queste estenuanti oscillazioni" gli provocano la comparsa di un bubbone sul collo, la cui incisione gli sembra l'esplosione di "questo mondo bruciante e opprimente".
Alla "fine delle ostilità", quando fu letto il "proclama imperiale", riuscì a pensare solo al Padiglione d'Oro, che gli sembrò essere al di sopra dello "shock della sconfitta", della "disperazione di un popolo", essendo "d'ora in poi al sicuro da ogni minaccia", risvegliando la sua "malvagia eternità".
Il Priore tenne un'omelia in cui spiegò un caso tratto dal "catechismo zen", la storia di "Nansen che uccide un gattino", che mostra la necessità di "tagliare le illusioni dell'ego", di praticare l'"impassibilità" buddista. E tutto questo "senza dire una sola parola sulla sconfitta del Giappone".
Ma Mizoguchi non ne fu "minimamente" colpito. Non provava "alcun profondo sentimento di rispetto o affetto per il Priore", ed era stupito dalla sensualità di questo "pasticcino", che "gli era stato detto che aveva tratto dalle donne tutto il piacere possibile".
Le conseguenze della sconfitta furono che i monaci erano "sempre affamati" (ma Tsurukawa disse di voler "imparare le pratiche dell'austerità" prima di ereditare un giorno il tempio di suo padre), che la gente (e persino un ufficiale) si dedicava al mercato nero.
Così Mizoguchi decise di andare "il più in profondità possibile, fino al cuore del male", "per catturare astutamente il favore del Priore e rendersi gradualmente padrone del Padiglione d'Oro", volendo al contempo "resistere alla [sua] abitudine alla masturbazione", che praticava non "legata a rappresentazioni sessuali" ma a "visioni demoniache".
Salendo su una collina "dietro il Rokuonji", poté vedere che "Kyoto diffondeva immensamente le sue luci", e fu felice di pensare che fossero "dedicate al vizio". I visitatori tornarono al Tempio d'Oro, in particolare i membri delle "truppe di occupazione", così che "le pratiche indecenti del mondo degli uomini cominciarono a proliferare intorno ad esso".
Durante il "primo inverno del dopoguerra", la neve aumentò la bellezza del Padiglione d'Oro e Mizoguchi provò "una sorta di esaltazione eccezionale e giovanile". Il tempio "non sfidava più il resto del mondo; non era più che un piano, un'immagine centrale". Il giorno successivo, "un soldato americano ubriaco" venne in visita. Era accompagnato da una prostituta, anch'essa ubriaca, ma che Mizoguichi trovò "molto bella", anche se era "la contro-immagine di Uiko". Lei non lo "degnò del minimo sguardo".
L'americano, pieno di sfrontatezza, si comportò brutalmente con la guida che quel giorno era Mizoguchi. Poi lui e la prostituta litigarono; lei scappò e "cadde all'indietro". Mizoguchi la soccorse, ma la prostituta gli ordinò di "calpestarla! Così il suo piede si posò sul ventre di lei; egli provò "una gioia traboccante" e si trovò "in uno stato di grande eccitazione".
Poiché il soldato gli aveva dato "due pacchetti di sigarette americane", Mizoguchi decise di offrirli al Priore"lasciandogli ignorare tutto il resto", da un lato stupendosi della sua "incomprensibile cattiveria", dall'altro trovando in essa un "nuovo motivo" per "disprezzare" il Priore.
Il Priore annunciò che lo avrebbe "mandato all'Università di Ôtani", il che era "la prova che aveva le più grandi speranze per lui".
Capitolo 4: Kashiwagi lo zoppo
Nella primavera del 1947, la prostituta venne a lamentarsi dal priore: poiché "un monaco studente le aveva calpestato il ventre", "aveva avuto un aborto spontaneo"; "voleva essere risarcita, altrimenti avrebbe denunciato lo scandalo". "Il priore, senza una parola, le aveva dato dei soldi e l'aveva mandata via [...] stava passando la spugna. Ma [...] nessuno al tempio aveva dubitato della colpevolezza di Mizoguchi", gli chiese Tsurukawa. Questo lo costrinse a "guardare in faccia la [sua] oscurità interiore", ma permise "a ciò che era oscuro in [lui] di crescere in forza", mentre provava "il piacere di mentirle per la prima volta". "Ferito nel suo senso di correttezza", animato da "virtuosa indignazione", Tsurukawa dichiarò che lo avrebbe denunciato al Priore.
Mizoguchi, incerto sui sentimenti di Tsurukawa nei suoi confronti e sul da farsi, decise infine di affermare la sua innocenza. "Nell'anno che seguì", la sua "azione" "cominciò, nella [sua memoria], a risplendere della luminosità del Male".
Verso la fine dell'autunno, il Priore, che "rimaneva murato in un silenzio malvagio", partì per una breve visita. Questo scatenò in Mizoguchi il desiderio di liberarsi dal male, di confessargli tutto. Ma non lo fece.
Entrò all'università senza "aver posto fine a tutte le [sue] incertezze" e senza provare "la minima ebbrezza". Ma "segnò una svolta nella [sua] vita". "Sconcertato" dalle lezioni di logica, decise di fare domande a uno studente che "non parlava con nessuno e sembrava rifiutare ogni amicizia", che si chiamava Kashiwagi, aveva "due piedi equini", infermità che per lui era "un sollievo" perché "significava: accettazione delle condizioni in cui [lui stesso] si trovava".
Ma aveva anche un viso di "severa bellezza" e "trasudava auto-realizzazione". Il suo benvenuto fu brusco, perché per lui la balbuzie non era importante. Le chiese invece: "Sei ancora vergine? E le raccontò "come aveva perso la [sua] verginità" per incoraggiarla a seguire le sue orme.
All'inizio era "convinto che le donne non avrebbero mai potuto amarlo", anche se per lui era una necessità per "riconciliarsi con le [sue] condizioni di esistenza". Ma non voleva ricorrere alle prostitute e non voleva "essere trattato alla stregua di un uomo perfettamente normale", come se i suoi "piedi a clava non esistessero".
Poi "accadde una cosa incredibile": la figlia di "una famiglia molto ricca" gli disse di amarlo, cosa che lui spiegò con il suo "eccezionale orgoglio". Ma lui rispose: "Non ti amo". Lei si impegnò in "un'analisi meticolosa" per dimostrargli che doveva avere "una tenerezza pari alla sua", un "sofisma" che lui non poteva ammettere perché, per lui, lei poteva amare solo "la sua infermità". Ma lei "abbandonò il suo corpo a lui". Ora lui era vittima di "uno sfortunato fallimento", e lei lo "deludeva". Si rende conto che non può opporre l'amore al desiderio, che è più complesso, che deve essere "più interessato al [suo] corpo che alla [sua] mente", e che i suoi piedi, "la giustificazione della [sua] esistenza", sono un ostacolo.
Visitò "un'anziana vedova" del suo villaggio alla quale, invocando una presunta profezia del Buddha, fece adorare i suoi piedi uncinati e per la quale provò un desiderio irresistibile, che analizzò scoprendo "la logica del [suo] erotismo", rendendosi conto che l'impossibilità di amare, per lui, "è fondamentalmente legata alla condizione umana".
Mizoguchi fu sopraffatto dalla "sensazione dolorosa" che gli dava questo "modo di vedere le cose" di cui non aveva mai "avuto la minima idea". Volendo "saperne di più su Kashiwagi", "saltò" una lezione di letteratura cinese con lui.
Andarono a fare una passeggiata, durante la quale il Monte Hiei gli sembrò trasformato; dove, vedendo gli studenti che si allenavano per la maratona, Kashiwagi espresse il suo disprezzo per lo sport ("Che senso ha tutto questo teatro?") e il suo "dogmatismo sanguinario" ("Quello che si dovrebbe mostrare alla gente sono le esecuzioni capitali" - "Durante la guerra, per mantenere l'ordine, si mettevano in mostra le morti violente").
Mizoguchi voleva soprattutto conoscere il suo metodo di seduzione delle donne: sosteneva di essere in grado di "individuare con esattezza, per intuizione, quelle che hanno un debole per gli uomini con i piedi a clava". "Proprio in quel momento apparve una ragazza".
Capitolo 5: I turbamenti di Mizoguchi
Questa ragazza, secondo Kashiwagi, era il tipo di ragazza "con un gusto per i piedi a clava". Come "una nuvola che passa davanti al sole", tutto assume "un aspetto spettrale" e, per Mizoguchi, "lei assume impercettibilmente un altro volto", quello di Uiko. Kashiwagi"si accasciò ai piedi della ragazza", "iniziò a urlare" e la costrinse a prendersi cura di lui facendolo entrare in casa sua.
"Preso dal panico, Mizoguchi si affrettò a tornare al Padiglione d'Oro, che gli sembrava "nascondere a metà la sua bellezza e non voler rinunciare alla finta indifferenza". Questo rafforzò la sua idea di Bellezza. E pregò il tempio di proteggerlo da Kashiwagi. Era allo stesso tempo spaventato e attratto dal suo insegnamento secondo cui "vivere e distruggere sono sinonimi", dal suo "uguale disprezzo" "per l'istinto e l'intelletto".
Il giorno dopo, a lezione, vide Kashiwagi"assolutamente immutata" e le sentì dire che aveva recitato e che la ragazza si era "innamorata dei suoi piedi a clava", che aveva curato.
Mizoguchi, convinto che "più la sua filosofia conteneva trucchi, più dimostrava la sua sincerità nei confronti della vita", fece amicizia con lui, cosa che dispiacque a Tsurukawa.
Kashiwagi organizzò un'escursione con la sua amica e un'altra ragazza per Mizoguchi, scegliendo un giorno in cui il cielo era "scuro e cupo". Di conseguenza, l'atmosfera tra i giovani si è "inacidita", con Kashiwagi e la sua amica che litigavano continuamente.
L'altra ragazza raccontò la storia di un ufficiale che, partendo per il fronte, chiese alla moglie, "dato che il loro bambino era morto", di fargli "bere un po' di latte dal suo seno", e Mizoguchi ricordò la scena che aveva visto al tempio Nanzenji. Andarono a vedere la tomba della signora Kogô, davanti alla quale Kashiwagi si divertì a mostrare una "empietà" che Mizoguchi imitò, facendolo sentire "meravigliosamente liberato e pieno di energia".Kashiwagi deride anche "la nobiltà, la cultura, tutto ciò che la gente considera estetica [...] la filosofia". Di fronte a un bel paesaggio, vedeva solo "l'inferno".
Un picnic fu organizzato dalla fidanzata di Kashiwagi, che diceva che "la sua famiglia la costringeva a sposare un uomo che non voleva". Mentre Kashiwagi fingeva un dolore alle gambe, lei si mostrò preoccupata; poi, quando, "orgoglioso del suo miracolo", dichiarò che era finita, "docile, lo guardò con gli occhi di un cane fedele e sorrise".
Mentre l'altra ragazza si prendeva gioco dei balbettii di Mizoguchi, lui provò un odio che, però, "in una specie di vertigine [...] stranamente si trasformò in un desiderio improvviso" che "divenne più pesante, si allontanò dal mio corpo, se ne astrasse in un certo senso". Quando lei rivelò di aver avuto una relazione con Kashiwagi, lui si chiese perché avesse accettato di fargli compagnia, di "volersi sporcare così tanto", di permettergli di mettere le mani sulle sue. Ma lui voleva smettere di pensare a lei "come a un oggetto del desiderio" e pensare invece a lei come "l'ostacolo per andare avanti". E "la sua mano scivolò sotto la gonna".
"Poi [vide] il Padiglione d'Oro", che "bloccava il passaggio tra [lui] e la vita", che "respingeva" la fanciulla " ma anche, allo stesso tempo, la vita che [lui] cercava di afferrare", contrastata dall'"eternità" della Bellezza. Ma "il momento di illusione in cui [egli] si sentiva accettato, abbracciato dal [Padiglione d'Oro] passò", e la "ragazza che sguazzava in una posa lasciva" lo assalì con il suo "disprezzo".
Poi arrivò la notizia che Tsurukawa era morto in un incidente. Mizoguchi pianse l'uomo che, a suo dire, era "l'unico filo che lo collegava al mondo della piena luce e del giorno", che "gli sembrava naturalmente al riparo dall'angoscia e dal dolore", un essere puro quindi destinato a una morte prematura, un perfetto "simbolo del non-essere".
Mizoguchi si riduce alla solitudine perché vede sempre meno la ragazza del picnic, mentre il suo "rapporto con Kashiwagi diventa molto più distante". Si tenne a distanza anche dalla madre. Aveva il presentimento che "sarebbe arrivato inevitabilmente il giorno in cui ciò che stava gradualmente germogliando dentro di [lui] si sarebbe rivelato assolutamente incompatibile con l'esistenza del Padiglione d'Oro" e, poiché era previsto un tifone, si offrì di vegliare su di lui durante la notte.
Da solo, "avvolto dalla pesante e sontuosa oscurità", si sciolse "nell'assoluto del Padiglione d'Oro", si trovò "preso nelle pieghe della Bellezza", "nel seno del Bello". Ma quando arrivò il vento, si trovò diviso tra esso e il tempio, e volle "suscitare" e "guidare" il vento. Tuttavia, il vento non era abbastanza violento da destare preoccupazione, e la tempesta passò senza rompersi.
Capitolo 6 - L’ossessione per il Padiglione
Sopraffatto dalla morte di Tsurukawa per un anno, Mizoguchi si dedicò alla lettura di "traduzioni di romanzi e opere filosofiche" che sarebbero state "più o meno responsabili dell'atto che avrebbe poi commesso". Cerca di chiarire i suoi pensieri per proteggersi dalla "bellezza velenosa del Padiglione d'Oro".
Una sera il priore era assente, così ne approfittò per "fare una passeggiata solitaria", dove concentrò la sua attenzione su un cartello che vietava di danneggiare il Padiglione d'Oro, un atto che gli sembrava "assolutamente impensabile, impossibile" contro questo edificio "inalterabile, indistruttibile", "un atto che solo un pazzo poteva concepire".
Incontra Kashiwagi che, avendo ricevuto in dono "due flauti", gliene regala uno e gli offre una lezione. Nella loro discussione, egli "rinunciò completamente alle sue eccentricità filosofiche e al veleno dei suoi paradossi", mostrando invece "una natura piena di raffinatezza", esponendo "una concezione della Bellezza infinitamente più raffinata" di quella di Mizoguchi, al quale, possedendo un grande "virtuosismo", "insegnò l'arte di tenere il flauto".
Ma non riuscì a "ottenere quel suono divino" che ne ricavava Kashiwagi, il quale gli disse che "aborriva la Bellezza che dura", amava solo "quella che evapora in un istante: la musica, le composizioni floreali che appassiscono in pochi giorni", e detestava "l'architettura e la letteratura". Quando Mizoguchi finalmente emise un suono, "questa voce misteriosa" non sembrava affatto emanare "da [lui]", ma piuttosto "dalla fenice di rame dorato" in cima al Padiglione d'Oro.
Per ringraziare Kashiwagi, rubò dei fiori, e questo "furto" lo rese "tutto gioioso", mentre il destinatario era "delirantemente felice". Ma mentre sistemava i fiori, gli ricordò il paradossale comandamento del Buddismo Zen: "Se incontri il Buddha, uccidi il Buddha; se incontri il tuo antenato, uccidi il tuo antenato; se incontri un discepolo del Buddha, uccidi il discepolo del Buddha; se incontri tuo padre e tua madre, uccidi tuo padre e tua madre. Solo allora troverai la liberazione".
Poi evocò "il problema del 'saggio Nansen che uccide un gatto'", essendo il gatto, per lui, "un blocco di bellezza" che "rimane impigliato", bellezza che deve essere estratta come un dente che provoca dolore.
Mizoguchi pensava di "ironizzare sulla [sua] impotenza a risolvere i [suoi] problemi". Kashiwagi gli disse che l'arte di sistemare i fiori gli era stata insegnata da "una donna del quartiere", le cui parole fecero capire a Mizoguchi che si trattava della donna che aveva visto "tre anni prima" al tempio di Nanzenji, che ora era "sporca" perché il suo seno era stato toccato da Kashiwagi, che "ora non era altro che l'amante abbandonata di uno studente storpio". Ma, "conquistato dalla gioia insensata di sporcare i [propri] ricordi con le [proprie] mani", aspettò che lei arrivasse. Tuttavia, si rese conto: "Non c'era il minimo legame tra questa donna e quella della mia visione.
Quando Kashiwagi gli disse che "non aveva più bisogno di lei", si arrabbiò e distrusse la sua sistemazione. Lui la schiaffeggiò; lei "si precipitò fuori"; lui esortò Mizoguchi ad andare a "consolarla".
Lei "sciorinò la litania delle sue lamentele contro Kashiwagi", ma l'esibizione del suo "sadismo" non fece altro che "illustrare l'indicibile fascino del personaggio", che era quello della "vita" stessa.
Quando lei chiese a Mizoguchi se avesse mai "desiderato la morte di qualcuno", lui ricordò di aver desiderato la morte della ragazza con cui aveva avuto "uno sfortunato incidente". Lui voleva "avere la chiave della scena misteriosa" al tempio Nanzenji; lei aveva "finito il latte", ma volle fare per lui "i gesti di un tempo", gli presentò "il suo seno sinistro" che, però, all'inizio fu per lui "solo una testimonianza del deserto dell'esistenza" prima di "recuperare il suo sterile splendore come la Bellezza stessa".
Ma poi, "per la seconda volta, sorse il Tempio d'oro", o meglio "il grembo [...] prese la forma del Tempio d'oro". Sulla via del ritorno, fu pervaso da "un sentimento di impotente euforia". Ma quando si avvicinò al Padiglione d'Oro, sentì "l'odio" che gli saliva dentro, si chiese perché volesse proteggerlo, disse a se stesso che lo stava facendo diventare "L'UOMO CHE SA PIÙ DELL'INFERNO DI TUTTI GLI ALTRI", per la prima volta "gli parlava con violenza" e gli sbatteva "in faccia: 'Un giorno sarai soggetto alla mia legge! [...] sarò il tuo padrone!".
Capitolo 7 - L’idea malsana del rogo
Mizoguchi, che non aveva intimità se non con il Padiglione d'Oro, suonava il flauto nelle sue vicinanze, trovando nella musica una "consolazione" a cui l'edificio non si opponeva, proprio come aveva fatto quando aveva voluto "perdersi nella felicità", facendola fallire con le donne, con la Vita. Un giorno osservò "il girotondo di un'ape intorno a un crisantemo" che era come "un padiglione d'oro in miniatura".
Pensò che "il crisantemo era stato modellato per corrispondere fedelmente al desiderio dell'ape, e che la bellezza era sbocciata in previsione di quel desiderio", e si identificò con l'ape che girava intorno al fiore come lui stesso era affascinato dal tempio. Da quando aveva "calpestato il ventre della prostituta, dalla morte di Tsurukawa", si era posto la domanda: "Il male, nonostante tutto, è possibile?" "Un sabato di gennaio del 1949", mentre vagava da solo per la città, vide un uomo che aveva "le fattezze del Priore", accompagnato da una "geisha".
Sebbene Mizoguchi non avesse "alcun motivo di vergognarsi", il suo riflesso fu tuttavia di paura". Avendo poi notato "un cane nero" "con un occhio solo", si mise a seguirlo e si trovò improvvisamente di fronte a un'auto in cui saliva una donna, seguita da un uomo che "stava fermo": "Era il Priore", di fronte al quale si mise a ridere, il che gli valse questo avvertimento: "Imbecille! Hai intenzione di scappare da me?", seguito dal disprezzo. Il giorno dopo, il novizio si aspettava "di ricevere le congratulazioni di tutti". Ma "non arrivò nulla", e subì "il tormento del silenzio" che "lo riempiva di un'ansia che diventava di giorno in giorno più pesante", quando dovette accompagnare il priore a una cerimonia per l'intronizzazione di un altro priore, dove si svolgeva il rito Zen.
Fece poi un sogno in cui, essendo il suo turno di presiedere un'analoga cerimonia, calpestò la "tradizione", non volendo pronunciare il nome del nuovo priore ma quello del "maestro" a cui doveva "il suo vero risveglio spirituale", dicendo prima "Bellezza" e poi "Nulla". Si svegliò appena in tempo per assistere il priore in questo rito, dove dovette riconoscere il "miracolo dell'autorità che emanava dalla sua persona": "Venne un momento in cui [egli] non poté più sopportare [...] il silenzio del priore". Arrivò un momento in cui [non] riuscì più a sopportare [...] il silenzio del Priore". Cercò allora di immaginarlo "solo con una faccia bestiale o mentre svolgeva le funzioni corporali più degradanti".
Decise di giocargli "un brutto scherzo": infilò la foto di una geisha nel giornale che avrebbe dovuto portargli al mattino. Aspettando la sua reazione, sentendo il suo cuore "battere sempre più forte", immaginò di poterle concedere il perdono, che le avrebbe permesso di "raggiungere quella purezza impeccabile, quell'anima di luce che Tsurukawa portava sempre con sé". Si rese anche conto che, con questa "follia", rischiava di "distruggere tutte le [sue] speranze di essere un giorno a capo del Rokuonji", che aveva "completamente dimenticato il [suo] attaccamento di lunga data al Padiglione d'Oro".
Tuttavia, non accadde nulla, nemmeno quando, la sera, il priore doveva tenere una conferenza "su un punto di dottrina" e Mizoguchi, aspettandosi che cogliesse l'occasione per "confessare pubblicamente la sua colpa prima di denunciare l'abiezione della sua condotta", si sentì "gonfio di quella che si deve chiamare una sorta di virile impavidità". Poi provò rimorso, tanto più che un giorno ricevette "la foto senza una parola scritta", il che significava che il Priore "non chiudeva del tutto gli occhi, ma ci teneva a fargli vedere la sterilità del [suo] atto".
Era sicuro che sarebbe stato odiato. Così fece a pezzi la foto, la mise in un pezzo di carta, la appesantì con un sasso e gettò il tutto nello stagno del Padiglione d'Oro, che mostrava "l'equilibrio malinconico che era sempre stato il suo", e poi "cominciò apparentemente a trascurare i [suoi] compiti scolastici", anche se fino ad allora i suoi risultati erano stati molto buoni. Il priore lo rimprovera e "mostra una chiara freddezza".
Ma per Mizoguchi questa fu "una specie di vittoria". Ritenendo che fosse il suo "modo di praticare lo Zen", rimaneva "senza fare nulla", "per ore e ore, osservando i movimenti di un formicaio", tenendo "gli occhi fissi sul flusso di fumo di una fabbrica", "meditando interminabilmente su un filo d'erba", per poi avere "la sensazione di essere immerso fino al collo in questa esistenza che era [LUI]".
Ma "l'atteggiamento della gente del tempio nei suoi confronti si irrigidiva di giorno in giorno". Così arrivò al punto di "non parlare con gli altri, per così dire". "Il 9 novembre", il priore, che aveva ricevuto "una lettera dall'università", guardandolo "come se [fosse] un lebbroso" (anche se Mizoguchi lo trovava "gratificante"), gli disse: "C'è stato davvero un momento in cui ho pensato di fare di te, più tardi, il mio successore; ma desidero informarti che ora ho cambiato completamente la mia disposizione".
Con il priore che mostrava "il volto di un uomo totalmente distaccato dalle cose di questo mondo", Mizoguchi, provando repulsione per la sua ipocrisia, sentì "l'impulso di fuggire [...]", e lasciò il tempio con il suo flauto e il dizionario buddista. Chiese a Kashiwagi di "prestargli tremila yen". Quando Kashiwagi lo interrogò sulle ragioni della sua partenza, egli citò "l'odore di impotenza che si levava a sbuffi dalle cose intorno a lui", che pensava fosse secreto dal Padiglione d'Oro.
Kashiwagi gli fece vendere il flauto e il dizionario buddista. Mizoguchi si recò in un "tempio scintoista" per "disegnare una bacchetta da rabdomante", "sperando di ottenere un'indicazione sulla direzione [da prendere]". Venne fuori il "numero 14" e gli fu detto che era "malvagio", che doveva "fuggire in segreto", evitando di andare "particolarmente a nord-ovest".
Decise di andare in quella direzione. "La mattina del 10", vestito con la sua uniforme da studente, iniziò la sua solita perlustrazione, poi partì "senza prendere alcun bagaglio", senza "congedarsi dal Padiglione d'Oro", volendo sfuggire a "questa idea [che aveva] della Bellezza", alla sua "negligenza", al suo "balbettio", a un'"esistenza" soggetta a troppe "condizioni". Prende il treno per tornare alla sua "terra natale" e viaggia abbandonandosi "completamente alla sensazione di rottura e di estraneità".
Tuttavia, evocando "Uiko, padre, Tsurukawa", si chiede se non sia "capace di amare solo i morti", se non sia più facile "amare solo i vivi". Negli altri viaggiatori vedeva solo "stronzi terroni", rappresentanti della "mediocrità". Mentre criticavano gli introiti di cui beneficiavano i templi, Mizoguchi sentì "per la prima volta" "la voce della censura pubblica", perché apparteneva al "mondo dei preti" e si sentiva diverso dai suoi vicini, prima di tutto nel linguaggio.
Il treno raggiunse la "baia di Maizuru", dove rimase colpito dal cambiamento provocato nel porto dalla presenza dei soldati americani. Volendo "rispondere a un richiamo del mare", si incammina verso la spiaggia di Yura, spinto da "una forza segreta", stupito dall'assenza di esseri umani. Poi ebbe "una specie di illuminazione". Più avanti, si sentì "inondato di gioia" quando vide "il Mar del Giappone", rendendosi conto, di fronte allo spettacolo del suo tumulto, che era "la fonte di tutte le [sue] disgrazie, [dei suoi] pensieri oscuri, [della sua] bruttezza e [della sua] forza". Ricorda poi che Kashiwagi gli aveva detto che "è in un tranquillo pomeriggio di primavera [...] che la crudeltà irrompe nelle nostre anime". E, come "chiave" per la sua illuminazione, gli venne in mente questa "idea cruciale": "DEVI INCENDIARE IL PADIGLIONE D'ORO".
Capitolo 8 - Un aspirante criminale
Mizoguchi scese "in una piccola locanda" dove gli fu assegnata " una piccola stanza d'angolo di fronte al mare". "Ruminando" sull'idea che gli era venuta, si chiese perché non avesse fatto il piano di "assassinare il Priore" in primo luogo; era perché l'"inefficacia" di questo atto gli era apparsa subito evidente, in quanto sarebbe stato sostituito da altri.
Al contrario, "dare fuoco al Padiglione d'Oro [...] sarebbe stato commettere "un atto di pura abolizione, di annientamento definitivo, che avrebbe ridotto la somma delle bellezze create dalla mano dell'uomo"".
Lo vedeva addirittura come "un atto altamente educativo", che avrebbe insegnato alle persone "a essere meno sicure" della permanenza, che avrebbe "sicuramente cambiato il significato del mondo"."[Il suo] soggiorno all'hotel di Yura si concluse bruscamente dopo tre giorni". Infatti, "un ufficiale di polizia" si presentò e dichiarò che lo avrebbe "riportato di persona al tempio".
Passando per la stazione, questo "aspirante criminale", che comprendeva "la psicologia dei rivoluzionari", derideva "questi funzionari di provincia" che non avevano idea "delle trasformazioni che stavano per avvenire [...], dell'imminente dislocazione dell''ordine mondiale'".
Allo stesso tempo, sentendo "l'affascinante fascino della vita", si disse che poteva "ancora evitare di dare fuoco al Padiglione d'Oro". "Fu riportato al Rokuonji, alla cui porta c'era sua madre, che era stata avvertita e "sarebbe stata data per morta".
Sebbene pensasse che il suo odio verso di lei fosse "giustificato" a causa dell'"impronta che la sua infamia aveva lasciato su [lui]", "vedendo il suo attaccamento materno danneggiato, [si sentì] improvvisamente liberato" perché "non sarebbe mai più stata in grado di usare minacce".
Ma "lei cominciò a schiaffeggiarlo", accusandolo: "Figlio ingrato! Mostro di ingratitudine!", ordinandogli di "chiedere scusa al priore", di "diventare un prete che sia qualcuno". Arrivò l'inverno"."Durante quei sei mesi", Mizoguchi, non volendo pagarlo, era stato tormentato da Kashiwagi. Dovette "rimandare più volte l'esecuzione del [suo] progetto", ma, "avendo lo sguardo fisso su un punto del futuro", "avrebbe potuto conoscere la felicità".
Sapendo che "tra non molto il Padiglione d'Oro sarebbe caduto in fiamme", che questa conclusione "era interamente nelle sue mani", che, a quanto pare, questa idea era sempre stata presente in lui, la sua vita "divenne piacevole"; si accinse a "riconciliarsi con tutto", dimenticando persino il suo "odio per il Priore".
Il 17 marzo 1950, i suoi studi preparatori all'Università di Ôtani terminarono". Dopo questi tre anni, essendo stato spesso assente, terminò per ultimo. Ma, "secondo la dottrina buddista dell'Anima Compassionevole, praticata in questa università, non esiste il "fallimento"", e fu "ammesso a continuare gli studi".
Il priore ha dato la sua tacita approvazione ". Andava a passeggio e un giorno notò uno studente che gli sembrava "un piromane [...] che si dirigeva passo dopo passo verso l'incendio doloso [...] spinto allo stesso atto di [lui]". ...] spinto a compiere lo stesso atto di [lui] dallo stesso sentimento di solitudine, dalla stessa disgrazia, dalla stessa ossessione per la Bellezza [...] questo doppio compie esattamente in anticipo ciò che [avrebbe fatto lui stesso], rivelandogli il sé che [non] avrebbe avuto il tempo di guardare al momento di agire".
Lo studente entrò nel tempio di Myôshin e Mizoguchi si disse: "Un tale splendore è stato fatto per essere circondato dalle fiamme". Mentre l'altro prendeva un pacchetto di sigarette, pensò: "Sicuramente gli darà fuoco facendo finta di accendere una sigaretta". Ma la fiamma brillò e si spense. Rendendosi conto che l'altro uomo non era un piromane, gli rimproverò "la sua viltà", "il suo meschino piacere, così tipicamente studentesco, di infrangere le regole", "la sua educazione civile", "questo potere di controllo totale e immediato con cui preserva la società dal fuoco!". Facendo riferimento ai numerosi incendi di templi avvenuti in passato e considerando che, secondo i "principi e le leggi buddiste", "la distruzione e la negazione sono nell'ordine naturale delle cose", valutò che "era certamente un miracolo che il Padiglione d'Oro fosse sopravvissuto" e concluse che avrebbe dovuto bruciare ora! Andava spesso in biblioteca e incontrò Kashiwagi che gli disse che ora gli doveva "cinquemila e cento yen".
Ma Mizoguchi pensò: "Che obbligo c'era di pagare i propri debiti quando si aveva davanti una catastrofe universale?". Kashiwagi rise della sua "vergogna di balbettare" e, mentre una palla da baseball si avvicinava molto al piede torto, Mizoguchi volle "vedere come avrebbe fatto a prenderla", cosa che gli valse uno sguardo pieno di "fulgori d'odio".
I giorno 10 di giugno Kashiwagi venne a far visita al Priore e questi convocò Mizoguchi. Gli mostrò "il documento con il sigillo del [suo] pollice", lo avvertì di non farlo più, altrimenti lo avrebbe fatto espellere dal tempio, e gli annunciò che avrebbe "risolto la questione". Il volto di Kashiwagi, come "dopo ogni cattiva azione", mostrava "un'espressione molto pura, come se le profondità della sua personalità uscissero da lui, senza che se ne rendesse conto".
Ma quando se ne andò, Mizoguchi si alzò ed ebbe "la soddisfazione di vedere per la prima volta apparire sui suoi lineamenti un'espressione vicina alla paura". Kashiwagi gli mostrò le "banconote da tremila yen" che il priore gli aveva dato e si lamentò del fatto che avesse affermato "che tra compagni di classe non si possono fare prestiti a interesse".
Mentre Mizoguchi scoppiava a ridere, l'altro disse: "Ho capito! In questi giorni non stai combinando niente di buono". Kashiwagi gli lasciò alcune "reliquie di Tsurukawa", lettere che gli aveva "inviato da Tokyo quasi ogni giorno [...] durante il maggio 1947". Mizoguchi provò "un pizzico di gelosia" perché "non gliene aveva inviata nemmeno una", e "aveva totalmente nascosto i suoi legami segreti con Kashiwagi".
Leggendo le lettere, trovò uno "stile imbarazzato" da cui "saliva come una nebbia di sofferenza"; "gli salivano le lacrime agli occhi" e, "allo stesso tempo", rimase "confuso dalla banalità di questa sofferenza" causata da un "amore contrastato" per una ragazza, che pensava di dovere alla sua "natura sfortunata".
Kashiwagi credeva che si fosse "suicidato", ma che, "per salvare le apparenze", "la famiglia avesse inventato la storia del camion". "Pienamente soddisfatto di aver massacrato così spietatamente il [suo] cuore", si prende gioco di Mizoguchi: "Questa lettura ha cambiato il tuo punto di vista sull'esistenza umana? Tutti i tuoi piani sono in frantumi, non è vero? [...] Non posso sopportare di vedere un amico vivere con qualcosa di profondo che è facile da rompere. E faccio di tutto per romperlo. [...] Solo la conoscenza può cambiare il mondo, pur lasciandolo così com'è, immutato. [...] È eternamente immutabile, ma anche in continuo cambiamento. [...] Per rendere la vita sopportabile, [...] l'umanità ha un'arma, e quest'arma è la conoscenza. Mizoguchi controbatte: "È l'azione che trasforma il mondo". Kashiwagi è tornato al "gatto" di Nansen per dare la sua spiegazione: Nansen era "un uomo d'azione" che sapeva che "la bellezza è qualcosa che deve rimanere latente sotto la protezione della conoscenza, ma che non esiste una conoscenza INDIVIDUALE, né una conoscenza PARTICOLARE. [Dal punto di vista della conoscenza, la Bellezza non è mai una consolazione. [...] Tuttavia, dal matrimonio tra la conoscenza e questa Bellezza [...] nasce qualcosa, [...] l'Arte". Mizoguchi riuscì solo a balbettare: "Bellezza...". E la minaccia del priore lo portò a decidere: "Devo affrettarmi ad agire", e a provare "una strana gratitudine" per Kashiwagi, che gli diede "la forza di fare l'ultimo passo".
Capitolo 9 - Il destino di Mizoguchi
Senza dire una parola, il priore diede a Mizoguchi il denaro per pagare le lezioni, la cancelleria e il biglietto del tram. Ma il giovane vide "l'ipocrisia nella sua fiducia". Pensando che tenere quel denaro avrebbe significato "perdere l'occasione decisiva per realizzare" i suoi piani, volle "trovare il modo di usarlo".
Comprati i preservativi perché, volendo "VIVERE" per realizzare l'incendio, "la sua persona [era] diventata preziosa per lui", "la sera del 18 giugno [...] uscì dal tempio clandestinamente", indossando abiti civili che gli fecero credere di essere "diventato un altro".
Si recò nella "zona riservata", dicendosi che "una donna con il suo intuito avrebbe decifrato sulla [sua] brutta fronte i segni del criminale nato", non sapendo se stava per "perdere la [sua] verginità per dare fuoco al Padiglione d'Oro",o incendiare il Padiglione d'Oro per perdere la verginità", riconoscendo di non avere "la minima idea di cosa possa essere il piacere" e pensando che sarebbe stato "un ottimo pretesto per il Priore per cacciarlo". Da quando aveva preso questa decisione, aveva "ritrovato la freschezza intatta della [sua] prima adolescenza", per cui gli venne "l'assurda idea [...] che Uiko vivesse ancora da qualche parte in questo quartiere, e che si chiudesse in casa", perché lei "gli sembrava possedere il potere di passare liberamente da una parte o dall'altra di un universo a due facce".
Ma si accorse che lei "non c'era". Non voleva "scegliere la [sua] compagna, perché la nozione terrificante di una Bellezza che ESASPERA non deve intralciare, nemmeno un po'". In camera da letto, si sforzò "di scoprire in tutto ciò che cadeva sotto il suo sguardo accenni di voluttà", ma "non c'era traccia di sensatezza nelle parole" di questa Mariko che gli chiese se era "la prima volta che entrava" in una casa del genere. Ed "era comunque la prima volta che [aveva] visto altri occhi così vicini ai [suoi]", che "VEDEVA il mondo degli altri sciogliersi e scomparire in questo modo", perché "un estraneo era penetrato senza scrupoli nella [sua] esistenza".
Nonostante fosse "trattato come un mero atomo dell'unità universale", raggiunse "la soddisfazione fisica senza fare domande, ma senza credere che fosse [lui] a gustarla"."Quando tutto era finito, si parlava di cuscini". Ma "il Padiglione d'Oro occupava tutti i suoi pensieri". E i seni di Mariko, "seni di pura e semplice carne, non correvano il rischio di trasformarsi nel Padiglione d'Oro". Poiché questa "prima esperienza si era rivelata incredibilmente scarsa rispetto all'estasi che aveva immaginato", tornò "il giorno dopo: stessa casa, stessa ragazza".Mariko"lo accolse con lo stesso sorriso".
Questa volta gli sembrò di "intravedere la voluttà, ma non quella che [aveva] immaginato". Poi gli fece "delle raccomandazioni da grande sorella, piene di sentimento, che per un attimo ebbero l'effetto di ghiacciare [lui]". Al contrario, il libro che le aveva portato, Dei delitti e delle pene di Beccaria, non ebbe alcun effetto su di lei. Volendo farle capire che stava "dando una mano alla distruzione del mondo", le disse: "Entro un mese - sì, un mese - si parlerà molto di me sui giornali". Ma lei "scoppiò a ridere". Lui si disse che era "perché [aveva] balbettato stranamente quella frase in cui [aveva] messo tanta convinzione".
Mizoguchi non tornò alla "Casa Ôtaki". Non gli restava che "aspettare che il priore si accorgesse dell'uso che [aveva] fatto del denaro dei corsi e lo espellesse dal tempio", ma trovava difficile capire perché avesse fatto "dipendere la sua decisione finale dall'espulsione che avrebbe pronunciato".
Ebbe "un'altra occasione per osservare la sua debolezza fondamentale" quando "andò a fare una passeggiata intorno al Padiglione d'Oro". In un primo momento pensò che avesse avuto un ictus e volle sottoporlo a cure mediche, ma "una forza contraria glielo impedì" perché "il Priore non gli piaceva e un giorno, presto, la [sua] determinazione di dare fuoco al Padiglione d'Oro avrebbe preso forma".
E trova nel Priore"l'aspetto degradante di una bestia addormentata", schiacciata sotto "un peso invisibile" che potrebbe essere: "Angoscia? Coscienza della propria debolezza? Ma poi sentì il "mormorio impercettibile di una preghiera" e "sorse in lui un'idea che fece a pezzi il suo orgoglio: forse il priore possedeva una vita interiore insondabile", la sua "prostrazione" era quella dei "monaci itineranti""stupefacentemente umili"all'"ingresso di un monastero".
E Mizoguchi pensava di averlo destinato a se stesso, prima di "sfuggire per un pelo alla trappola della tenerezza" e decidere "di portare avanti il [suo] progetto senza aspettare di essere cacciato dal tempio". "Il 25 giugno scoppiò l'affare della Corea. Questo confermò la [sua] premonizione che il mondo si stava dirigendo inevitabilmente verso il collasso e la rovina. Doveva "fare in fretta".
Capitolo 10: Epilogo
Mizoguchi sapeva che "anche senza chiave si poteva entrare" nel Padiglione d'Oro. Per prepararsi all'"atto perfetto e solitario che [stava] per compiere", "nel caso in cui [avesse] dovuto pensare alla morte", comprò "pastiglie per dormire" e "un coltellino".
Si rese conto di essere uno di "quei dieci milioni di persone" in Giappone che, "volendo vivere o morire", venivano ignorate. Eppure sentiva dentro di sé la "gioia di un uomo che sta per mettere su famiglia e che organizza la sua vita familiare in anticipo". Il coltello gli faceva immaginare "con felicità il giorno in cui" lo avrebbe lasciato penetrare "nella [sua] carne".
L'"apprensione" lo spinge anche a comprare "brioche e torte ripiene di pasta di fagioli", e quando "l'allarme antincendio" del Padiglione d'Oro si rompe, lo vede "come un'esortazione del cielo".
Quando fu riparato, si rammaricò di "aver perso questa occasione unica". Ma i lavori di riparazione non erano finiti: "La sera del 1° luglio 1950, il Rokuonji ricevette la visita di padre Zenkai, priore del tempio Ryûho", un amico di seminario di padre Dôsen", "un amico del padre di Mizoguchi" con il quale "desiderava chiacchierare". Il novizio "rimase in guardia, per evitare che, in questa notte importante, la sua determinazione venisse smussata da questa gentilezza".
Ma pensò anche che padre Zenkai sarebbe stato "il testimone ideale della catastrofe", e per la prima volta sentì "il desiderio di farsi capire dagli altri". Confessandogli: "Non sono l'essere che tu pensi che io sia", ponendogli domande a cui lui dava risposte rassicuranti, avendo "la sensazione di essere stato penetrato nel profondo", sentì "nascere in [lui] il coraggio di agire".
"All'una di notte del 2 luglio [...] la pace regnava sul monastero". Sebbene fosse infastidito dalla balbuzie quando cercava di parlare, trovava grande gioia nella prospettiva di esserne presto liberato. Improvvisamente si alzò, uscì, andò in una stanza dove c'erano "balle di paglia", raccolse i suoi averi in modo che "tutto ciò che [possedeva] potesse essere bruciato", si accinse a "smontare la porta" del Padiglione d'Oro che era "gonfia di tenebre", si assentò per un momento "nella contemplazione della miniatura", vide "la statuetta di legno di Ashikaga Yoshimitsu" il cui "sguardo di testimone morto" lo inseguiva,
Si precipitò, si mise al lavoro "come un automa", impacchettò le cose che potevano bruciare, gettò le altre nello stagno, "sentì improvvisamente una fame da lupo", che soddisfece con "alcune focacce e torte avanzate", si ritrovò "sulla soglia stessa dell'atto", si occupò di "contemplare il Padiglione d'Oro e dargli l'ultimo addio", meditando sulla Bellezza.
E così, quando "un attimo prima l'atto era a un passo da [lui], a portata di mano, [si] ritirò". Si chiese se Kashiwagi non avesse ragione, se non avesse fatto "[i suoi] lunghi, [i suoi] meticolosi preparativi SOLO PER RAGGIUNGERE LA CONOSCENZA ULTIMA, CHE ALLA FINE NON AVREBBE DOVUTO AGIRE".
Pensava che il suo "atto fosse solo un 'surplus'". Sentiva "una stanchezza terribile"; il suo corpo era come paralizzato". "La sua mente si divertiva a manipolare tutti i suoi ricordi", e così il precetto "Se incontri il Buddha, uccidi il Buddha" tornò alla sua mente, strappandolo dall'"impotenza in cui era sprofondato" e facendogli sentire "un eccesso di energia in tutto il suo essere".
E, mentre "una parte di [lui] continuava a dirgli che quello che stava per fare era ormai inutile", si convinse che "poiché era inutile, [doveva] agire". Cominciò a correre, saltando all'interno del Padiglione d'Oro, sentendo il cuore battere "gioiosamente". Riuscì a produrre una fiamma, ad avvicinarla alla paglia, e si disse: "Era come se, intorno a me, tutto si fosse improvvisamente riempito di un'agitazione gioiosa". Mentre il fumo lo faceva tossire, sentì "il desiderio di morire circondato dalle fiamme".
Cercò "di aprire la porta del Kukyôchô", la parte superiore del Padiglione d'Oro, ma "era saldamente chiusa". Nonostante i suoi frenetici sforzi, fu "respinto", dovette ridiscendere "attraverso i vortici di fumo, forse anche le fiamme", per "precipitarsi fuori" e "lanciarsi in una corsa frenetica", finendo su una collina dove fu "il cinguettio di uccelli spaventati" a "riportarlo a una chiara consapevolezza delle cose". Sopra il Padiglione d'Oro, vide "nuvole di scintille". Essendo "coperto di vesciche e graffi", cominciò a "leccarsi le ferite". Gettando via "il coltello e il flacone di sonniferi", iniziò a fumare una sigaretta. Voleva "vivere".
Conclusione:
"Il padiglione d'oro" di Yukio Mishima è un romanzo che esplora il tema della bellezza e della spiritualità. Attraverso la storia di Mizoguchi e la sua relazione con il Padiglione d'Oro, l'autore ci invita a riflettere sulla natura della bellezza e sulla sua influenza sulla nostra vita. Il romanzo ci mostra che la bellezza può essere distruttiva se non è accompagnata da una profonda comprensione spirituale.
I personaggi de "Il Padiglione d'Oro" di Yukio Mishima
- Mizoguchi: È il figlio dogmatico di un prete buddista ed è torturato dalle sue inadeguatezze. Mizoguchi è un balbuziente e lotta con le ripercussioni sociali della sua disabilità. Nella storia, Mizoguchi diventa ossessionato dalla bellezza in tutte le sue forme e dall'inutilità di renderle omaggio. Mentre cade in una profonda depressione, inizia a mettere in discussione le definizioni convenzionali di bellezza.
Mizoguchi è inizialmente affascinato da due tipi di bellezza: terrena e spirituale. È attratto dalle belle donne ma è incline ad abusare delle prostitute. Per Mizoguchi, la bellezza di quest'ultimo è contaminata e prova una sorta di piacere perverso nel maltrattare queste signore della notte.Il modo disfunzionale di Mizoguchi di relazionarsi con le donne può essere attribuito al suo odio per se stesso. Nella storia, il tempio rappresenta un tesoro irraggiungibile, una bellezza che non può possedere. Pertanto, le sue ossessioni suicide derivano dalla sua incapacità di conciliare le sue inadeguatezze con il suo irraggiungibile desiderio di bellezza e amore.
- Tayama Dosen: Questo è il monaco che prende Mizoguchi sotto la sua tutela. Dosen comprende le lotte di Mizoguchi e tollera anche le tendenze crudeli di quest'ultimo. Dosen non ha pretese sulla virtù; non è estraneo ai piaceri sessuali che una geisha può offrire. Dosen viene poi sorpreso a saltellare con una geisha da Mizoguchi.
Da parte sua, Dosen sceglie di proteggere la propria reputazione e manda Mizoguchi all'Università di Otani. Dosen ricorda a Mizoguchi sua madre, che non era estranea alle scorrettezze sessuali. Le azioni delle madri di Dosen e Mizoguchi ritraggono il mito della perfezione umana.
- La madre di Mizoguchi: è un personaggio ambivalente che tradisce suo marito. Il suo unico obiettivo nella vita è vedere Mizoguchi come il superiore del Tempio d'Oro.
- Il padre di Mizoguchi : comprende le difficoltà di Mizoguchi e prende accordi affinché quest'ultimo studi come accolito sotto Tayama Dosen.
- Kashiwagi: È un giovane studente disabile dell'Università di Otani. Mizoguchi si innamora del modo in cui Kashiwagi vede la bellezza, il peccato e la perfezione. Come Mizoguchi, Kashiwagi possiede tendenze crudeli. Non è turbato dal modo in cui tratta le donne. Kashiwagi crede che la sua disabilità fisica gli impedisca di raggiungere la vera bellezza nella sua vita; quindi si accontenta di prostitute e donne di cattiva reputazione. Come Mizoguchi, li maltratta tutti, manifestando il suo odio per se stesso attraverso le sue azioni maligne.
- Tsurukawa : Tsurukawa è un compagno accolito Zen del Tempio d'Oro. È un ostacolo al carattere di Mizoguchi. A differenza di Mizoguchi, Tsurukawa è costantemente allegro. Successivamente si scopre che si è suicidato a causa di una sfortunata storia d'amore. Il modo in cui Tsurukawa muore sconvolge notevolmente Mizoguchi, che inizia a contemplare lui stesso il suicidio.
- Gli altri monaci del tempio: nel tempio di Kinkaku-ji, Mizoguchi interagisce con gli altri monaci. Alcuni sono affascinati dalla sua passione per la bellezza, mentre altri lo giudicano e lo considerano strano. Questi personaggi rappresentano la diversità di opinioni sulla bellezza e sulla spiritualità.
- Il Padiglione d'Oro: sebbene non sia un personaggio nel senso tradizionale, il Padiglione d'Oro è un elemento centrale del romanzo. La sua bellezza e perfezione estetica influenzano profondamente i personaggi e la trama. Il Padiglione d'Oro diventa un simbolo della ricerca ossessiva della bellezza e della sua potenziale distruzione.
L’interpretazione del romanzo
Influenze contrarie
Mizoguchi subisce più volte l'influenza contraria di varie persone. Il suo compagno di scuola Tsurukawa è caratterizzato da una natura amichevole e ottimista. Più volte reinterpreta in chiave positiva le osservazioni e le azioni sprezzanti o offensive di Mizoguchi, ad esempio imputando la tristezza o la modestia come motivazioni. Al contrario, spiegando ed esemplificando il proprio atteggiamento egoista e calcolatore, Kashiwagi provoca un aggravamento del carattere di Mizoguchi, il suo crescente rifiuto di coloro che lo circondano.
Sia il padre di Mizoguchi che il priore del monastero appaiono relativamente morbidi e indulgenti. Il padre è malaticcio e lascia fare alla madre che lo tradisce con un lontano parente; il priore è descritto come codardo e negligente, frequenta quartieri di piacere e inizialmente guarda dall'alto in basso Mizoguchi per varie trasgressioni.
Al contrario, un sacerdote di nome Zenkai, che visita il monastero poco prima della morte di Mizoguchi, si presenta come virile e autorevole. "Il sacerdote Zenkai aveva una semplicità che mancava al vecchio maestro e un potere che il padre non possedeva". Senza poterne spiegare il motivo, la conversazione con Zenkai ha quasi impedito a Mizoguchi di fare ciò che poi ha fatto. Tuttavia, Zenkai appare troppo tardi nel romanzo per poter avere un'influenza sufficiente su di lui.
Un saggio sulla bellezza
Nel corso del romanzo vengono fatte nuove riflessioni sulla bellezza in generale e sul Padiglione d'Oro in particolare. Tra gli aspetti trattati: se essa acquisisca un'atemporalità indipendente dall'osservatore, se sorga solo nella percezione dell'uomo, se possa essere intesa come un compito che si avvicina all'uomo dall'esterno, e così via.
Lo psicodramma di un'ossessione
L'ossessione per la bellezza del Padiglione d'Oro occupa uno spazio sempre maggiore nel pensiero di Mizoguchi. Ben presto è tormentato dal pensiero che esso esista senza tempo e indipendentemente da lui; crede che esso esista in un mondo diverso dal suo, la cui vita è transitoria.
Già nei capitoli 2 e 5 desidera che il Padiglione venga distrutto da un bombardamento durante la guerra o da una tempesta annunciata. Mizoguchi non riesce a entrare in intimità con le donne; anche in modo incomprensibile per lui, il pensiero del Padiglione d'Oro si impone ogni volta nella sua coscienza e gli rende impossibile frequentare una donna.
Solo dopo aver preso la decisione di distruggere Il Padiglione, egli riesce ad andare da una prostituta e a fare l’amore con lei. Gli sembra che il mondo intero si divida in due stati fondamentalmente diversi, quello in cui il Padiglione d'Oro esiste ancora e quello in cui non esiste più.
Allegoria del Giappone che cambia
L'incendio del Padiglione d'Oro può essere inteso anche come un'allegoria della modernizzazione del Giappone e del suo crescente orientamento verso l'Occidente.
Il tempio bruciato rappresenta le tradizioni da cui ci si allontana. Il romanzo è ambientato in parte prima e durante la guerra, in parte durante l'occupazione del Giappone. Si nota come l'abito tradizionale dei monaci sia diventato diverso da quello del resto della popolazione; di tanto in tanto compaiono i soldati dell'occupazione.
Negli occhi azzurri di un soldato americano in visita al tempio, Mizoguchi crede di poter individuare una particolare crudeltà. Ciò che è strano in una simile allegoria, tuttavia, è che la distruzione non è compiuta da un seguace dell'orientamento verso l'Occidente, ma da un portatore della cultura tradizionale.
Il contesto sociale, politico e culturale del Giappone di Yukio Mishima: una società in trasformazione
Il Giappone in cui Yukio Mishima visse e scrisse è stato un periodo di grande trasformazione per il paese. Dopo la Seconda guerra mondiale, il Giappone si trovava ad affrontare la ricostruzione post-bellica e a confrontarsi con una nuova realtà politica e sociale. In questo contesto, Mishima si trovò ad esplorare temi complessi legati all'identità nazionale, alla tradizione e alla modernità.
La società giapponese del dopoguerra: tra tradizione e modernità
Il Giappone si trovava ad affrontare una profonda crisi di identità. Il paese era stato sottoposto a una modernizzazione forzata durante il periodo Meiji, ma si ritrovò a dover fare i conti con le conseguenze di questa modernità accelerata. Mishima, cresciuto in un periodo di grande cambiamento, si trovò a riflettere sul conflitto tra la tradizione e la modernità nella società giapponese.
Il nazionalismo e il culto dell'identità giapponese
Mishima era profondamente nazionalista e si identificava con l'immagine tradizionale del Giappone. Il nazionalismo era un sentimento diffuso nel paese, alimentato dalla propaganda durante la guerra e dalla nostalgia per un'epoca passata. Mishima cercò di esplorare questo nazionalismo attraverso le sue opere, riflettendo sulle radici culturali e storiche del Giappone.
La crisi dell'identità individuale e la ricerca della bellezza estrema
Il contesto sociale e politico del Giappone del dopoguerra influenzò profondamente il percorso esistenziale e artistico di Mishima. L'autore si trovò a confrontarsi con una crisi dell'identità individuale, cercando di trovare un senso di appartenenza in un mondo in rapida trasformazione. La sua ricerca della bellezza estrema e della perfezione estetica può essere vista come un tentativo di trovare un punto di riferimento stabile in un mondo in continua evoluzione.
La morte come atto di protesta e rinnovamento spirituale
La tragica morte di Mishima, avvenuta nel 1970, rappresenta l'apice della sua ricerca spirituale e artistica. L'autore si suicidò in modo spettacolare, nel tentativo di protestare contro ciò che percepiva come una società decadente e priva di valori. La sua morte può essere interpretata come un atto di rinnovamento spirituale e come un tentativo di trovare una bellezza eterna attraverso la morte.
Yukio Mishima: una vita dedicata all'arte e alla scrittura
Yukio Mishima è considerato uno dei più grandi scrittori giapponesi del XX secolo. La sua vita è stata segnata da una profonda passione per l'arte e dalla ricerca di una bellezza estrema. In questo articolo, esploreremo la biografia di Mishima, analizzando i momenti chiave della sua vita e le influenze che hanno plasmato la sua carriera letteraria.
L'infanzia e l'educazione di Yukio Mishima
Yukio Mishima è nato il 14 gennaio 1925 a Tokyo, in Giappone. Fin da giovane, ha dimostrato un grande interesse per la scrittura e la letteratura, pubblicando il suo primo racconto all'età di 16 anni. Mishima ha studiato legge all'Università di Tokyo, ma ha presto abbandonato gli studi per dedicarsi completamente alla scrittura.
La carriera letteraria
Dopo aver abbandonato gli studi, Mishima ha iniziato a dedicarsi a tempo pieno alla scrittura. Ha pubblicato numerosi romanzi, racconti e opere teatrali, guadagnandosi una reputazione come uno dei più talentuosi scrittori giapponesi del suo tempo. Le sue opere affrontano temi complessi come la bellezza, la tradizione, la spiritualità e la morte.
Le influenze sulla scrittura di Yukio Mishima
La scrittura di Yukio Mishima è stata influenzata da diverse fonti. Ha ammirato molti autori occidentali, come Fëodor Dostoevskij e Oscar Wilde, che hanno influenzato il suo stile narrativo e le sue tematiche. Mishima era anche profondamente interessato alla cultura tradizionale giapponese, in particolare al teatro Nō e alla letteratura classica.
L'impegno politico e il nazionalismo
Oltre alla sua carriera letteraria, Yukio Mishima era anche politicamente attivo. Era un nazionalista convinto e si identificava fortemente con l'immagine tradizionale del Giappone. Ha fondato una milizia privata chiamata Tatenokai, che si impegnava a promuovere il nazionalismo e la tradizione giapponese. Questo impegno politico ha influenzato anche la sua scrittura, che spesso rifletteva le sue idee nazionaliste.
La tragica morte di Mishima
La vita di Yukio Mishima è stata segnata da una morte tragica. Il 25 novembre 1970, Mishima si recò presso il quartier generale del comando dell'esercito giapponese e prese in ostaggio un generale. Dopo aver tenuto un discorso ai soldati riuniti, si tagliò il ventre con una spada e si lasciò decapitare da un membro della sua milizia. La sua morte ha suscitato molte polemiche e ha lasciato un segno indelebile nella storia letteraria giapponese.
Yukio Mishima è stato un autore straordinario, la cui vita è stata segnata da una passione profonda per l'arte e la scrittura. La sua carriera letteraria ha affrontato temi complessi come la bellezza, la tradizione e la spiritualità. La sua morte tragica ha sconvolto il mondo letterario giapponese, lasciando un'eredità duratura. Yukio Mishima rimarrà per sempre uno dei più grandi scrittori del Giappone e una figura di grande importanza nella storia della letteratura mondiale.
Le opere
Yukio Mishima è un autore prolifico e ha scritto numerosi romanzi, racconti e opere teatrali. Alcune delle sue opere più famose includono:
1. "Confessioni di una maschera" (1949):Questo romanzo semi-autobiografico segue la vita di un giovane uomo che nasconde la sua omosessualità dietro una maschera sociale.
2. "Il padiglione d'oro" (1956): Questo romanzo esplora le tematiche dell'arte, della bellezza e della spiritualità, attraverso la storia di un monaco buddista che sviluppa una vera e propria ossessione per il Padiglione
d'Oro.
3. "Il mare della fertilità" (1965-1970): Questa tetralogia di romanzi segue la vita di un avvocato giapponese dalla sua giovinezza fino alla vecchiaia, attraverso gli anni del dopoguerra e i cambiamenti sociali del Giappone.
4. "La voce delle onde" (1954): Sull'isola di Utajima vive Shinji, un giovane che, dopo aver terminato gli studi, ha iniziato a lavorare come pescatore. Senza alcuna esperienza in campo amoroso, l'arrivo di Hatsue, la figlia del benestante signor Teru, è una rivoluzione sentimentale per entrambi e si innamorano. Nonostante le voci che circolano sull'isola suggeriscano che Hatsue si stia avviando a un matrimonio combinato con il figlio di un'importante famiglia locale, i due giovani sono attratti l'uno dall'altra.
5. "Neve di Primavera" (1966) Il primo romanzo della serie, "Il mare della fertilità", descrive con attenzione l'evoluzione psicologica del protagonista, che passa da un'iniziale abulia narcisistica a una ferma determinazione a confrontarsi con le norme stabilite quando prende coscienza del suo amore per Satoko. Lei, dal canto suo, dedita fin dall'inizio all'amore per il giovane Kiyoaki, sceglie infine di ritirarsi nella solitudine di un convento piuttosto che essere costretta dalla famiglia a sposare un altro uomo. In mezzo a questa coppia di protagonisti c'è Shigekuni Honda, amico intimo di Kiyoaki, personaggio attivo e intellettuale, ma profondamente toccato dalla passione d'amore che porta Kiyoaki alla sua distruzione.
Queste sono solo alcune delle opere più conosciute di Yukio
Mishima, ma l'autore ha scritto molti altri romanzi, racconti e opere teatrali che meritano di essere esplorati.
Adattamenti cinematografici
Le opere di Yukio Mishima hanno ispirato numerose riduzioni cinematografiche, televisive e teatrali nel corso degli anni. I registi e gli attori hanno cercato di portare sullo schermo o sul palcoscenico la bellezza e la complessità delle storie di Mishima. Alcune delle più famose riduzioni delle opere di Mishima includono:
- Enjō ("Conflagrazione" 1958): Questo film, diretto da Kon Ichikawa, è basato sul romanzo di Mishima "Il padiglione d'oro". Racconta la storia di un monaco buddista che sviluppa una vera e propria ossessione per il Padiglione d'Oro. Il film è stato lodato per la sua bellezza visiva e la sua fedeltà al romanzo originale.
- "Patriottismo o il rito dell'amore e della morte"
(1966): è un cortometraggio giapponese del 1966 diretto da Yukio Mishima. È basato sul racconto "Patriottismo" di Mishima stesso, pubblicato nel 1960.
- "Mishima - Una vita in quattro capitoli"del
1985, diretto da Paul Schrader, è ispirato alla vita e alle opere di Yukio Mishima. Il film si concentra principalmente sulla biografia di Mishima e sulla sua morte tragica. Tuttavia, il film prende spunto da diversi romanzi di Mishima, tra cui "Il
padiglione d'oro", "La casa di Kyōko", "Cavalli in fuga" e
"Armonia tra Penna e Spada". "Mishima - Una vita in quattro
capitoli" è considerato uno dei migliori adattamenti cinematografici delle opere di Mishima ed è stato molto apprezzato dalla critica.
- "L'École de la chair" (1998): Questo film, diretto da Benoît Jacquot, è basato sul romanzo La scuola della carne (1963) di Mishima. L’ambientazione della storia viene spostata dal Giappone del secondo dopoguerra alla Parigi degli anni novanta. Il film è stato presentato in concorso al 51º Festival di Cannes
- "Neve di primavera" (2005): Questo film, diretto da Isao Yukisada., è basato sull’omonimo romanzo breve di Mishima. Racconta la storia di una giovane donna che si innamora di un uomo sposato, durante una tempesta di neve. Il film è stato elogiato per la sua atmosfera suggestiva e la sua fedeltà al racconto originale.
Queste sono solo alcune delle riduzioni cinematografiche delle opere di Yukio Mishima, ma ci sono molte altre produzioni teatrali e televisive che hanno portato le sue storie sul palcoscenico e sullo schermo. Le riduzioni delle opere di Mishima hanno contribuito a diffondere la sua visione artistica e a far conoscere il suo lavoro a un pubblico più ampio.
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